Erano almeno tre anni che desideravo andare a Bali.
Quello che vedevo sui social e sentivo in giro di quest’isola mi sembrava tutto quello che cercavo: natura selvaggia, vita tranquilla, cibo gustoso, luoghi mistici e incontaminati, templi dalla bellezza mozzafiato con rituali antichi tutti da scoprire e spiritualità a ogni angolo di strada, come nella migliore tradizione dell’Oriente che tanto amo.
Se nel mio viaggio in Indonesia non fossi stata anche qui però sarei tornata solo in preda a un’amara delusione, perché Bali è tutto questo ma è soprattutto altro, in particolare e principalmente la patria di Instagrammer tanto infaticabili quanto superficiali che sono ormai la principale fonte di sostentamento dell’isola.
Le uniche attività redditizie per i balinesi infatti, se si escludono la coltivazione di riso e la pesca che di sicuro non arricchiscono nessuno, sono quelle legate al turismo: ristoranti a misura di occidentale, strutture ricettive di vario genere, tour guidati, taxi e barche, negozi o bancarelle di souvenir e gli immancabili Instagram spot, cioè luoghi panoramici in cui fare foto a pagamento che personalmente mi hanno fatto più volte accapponare la pelle.
A Bali non mi è stato possibile sedere su una spiaggia senza che qualcuno mi assillasse per affittare un lettino, entrare in un tempio senza essere prima assediata da venditori di sarong o cianfrusaglie varie, camminare per le strade senza sentire il suono perenne “taxiii taxiii” o addirittura avere macchine accostarmi accanto per chiedermi “you need transport?”, visitare un luogo meraviglioso senza che mi chiedessero mille volte se volevo fare una foto in questo o quel punto panoramico.
A Bali c’è una natura lussureggiante: spiagge immense, giungla a perdita d’occhio, cascate scroscianti. Nessuno dei posti che ho visitato però è immune alla mano dell’uomo. Pur avendo scelto di visitare, ad esempio, le cascate di Gitgit, tra le meno conosciute dai turisti dell’isola, una volta a destinazione e dopo aver già pagato il biglietto d’ingresso ho scoperto che i punti in cui avremmo potuto godere meglio della meravigliosa vista delle cascate erano recintati perché si poteva accedere solo a pagamento per fare le foto per Instagram; addirittura chi gestisce il posto ha costruito un ponticello che finisce nel mezzo della cascata ma a cui non si può accedere senza pagare di nuovo.
Di templi e luoghi mistici a Bali ce ne sarebbero a bizzeffe se solo non fossero perennemente deturpati dalla presenza di orde di turisti che fotografano incessantemente se stessi. Come a Lempuyang, famoso per la foto delle sue porte con vista sull’Agung che si riflette sull’acqua e dove però l’acqua non c’è; c’è invece un tizio che posiziona uno specchio sotto la macchina fotografica così sembra che l’acqua ci sia e, previo il pagamento di un obolo e tre ore di coda, ti scatta la magica foto che popola Instagram in ogni dove.
La vita tranquilla e spirituale che millantano i sedicenti proprietari dei vari centri yoga di Ubud di sicuro non la troverete a Ubud: ci troverete invece un traffico incessante e rumorosissimo e un sacco di occidentali che spacciano il loro business per la suddetta spiritualità, che nulla ha a che fare con quella dei balinesi, privata e quotidiana, che potrete osservare (senza bisogno di pagare alcunché o di rivolgervi a chissà quale santone australiano) semplicemente per la strada, nei canti provenienti dai templi di famiglia, nel profumo dell’incenso che si alza dalle offerte lasciate agli dei in qualunque momento della giornata.
Quanto al cibo, e ve lo dice una che mangia tutto e ha una spiccata predilezione per la cucina asiatica, preparatevi a stufarvi presto del cibo locale che non offre una grande varietà e a ripiegare su quello super healthy e ovviamente super instagrammabile, che vi fa venire l’acquolina in bocca quando lo vedete in foto preparandovi al viaggio ma che alla fine sarà molto spesso un pasto insapore con accostamenti di gusti improbabili che solo americani, australiani o comunque chi non ha la nostra cultura italiana del cibo potrebbe apprezzare.
E infine preparatevi a vedere il peggio della gente, non solo nei tanti balinesi che cercheranno di fregarvi in vari modi ma anche e soprattutto nei turisti, che buttano le sigarette nell’oceano perché non ci sono cestini (e tanto non sono a casa loro), che ti impediscono di passare perché devono stare in mezzo alla scala a farsi i selfie, che lasciano raffreddare il cibo perché devono metterlo su Instagram dopo aver provato cento pose diverse col piatto in mano, che fanno ore di volo per raggiungere luoghi che poi nemmeno guardano perché sono troppo presi a scattarsi centinaia di foto sorridenti davanti a questa o quella cosa, e soprattutto che una volta a casa perpetuano l’illusione che ci sia ancora qualcosa di mistico e spirituale in tutto questo.
Ma insomma, quindi Bali mi ha fatto così schifo?
No, non solo perché la maggioranza dei balinesi sono persone meravigliose sempre pronte a riservarti un saluto e un sorriso, ma anche perché non sono il tipo che si arrende e quindi mi sono alzata prima dell’alba ogni mattina per partire presto e poter vedere i posti quando ancora non c’era nessuno e perché ho scelto sempre i sentieri meno battuti, quelli più lunghi e difficili in cui il resto del mondo non si sprecava ad andare perché tanto la foto l’aveva già fatta e poteva tornarsene a casa.
Così abbiamo potuto guardare le scimmie curare i loro cuccioli per ore nella foresta, ammirare in silenzio le stanze scavate nella roccia, la cascata e le fonti sacre sulle terrazze del Gunung Kawi, godere dell’alba sulle spiagge di Uluwatu, passeggiare da soli tra le risaie di Jatiluwih, passare mezz’ora indisturbati ad ascoltare lo scroscio delle cascate di GitGit, fare il bagno insieme ai balinesi nelle sorgenti calde di Angseri, addormentarmi cullata dal suono delle rane in una villa in mezzo al nulla alle porte del centro di Ubud, guardare i carboni ardenti della danza del fuoco schizzare ai miei piedi nella notte a Canggu.
E più di tutto mi sono portata a casa dal viaggio la cosa più importante del viaggio e cioè una nuova prospettiva, la consapevolezza di come si sta trasformando il mondo e della parte che voglio avere io in questa trasformazione: Bali mi ha fatto pensare molto all’impatto dei social media sulla nostra vita e sui luoghi e mi ha portato a prendere delle decisioni su come voglio usarli da oggi in poi.
So per certo che non voglio continuare a perpetuare l’illusione che si costruisce attorno a certe mete, ed è per questo che in questo articolo non faccio a meno di raccontare tutto quello che molti, dopo essere giunti così lontano, non raccontano per non abbassare il livello della loro figaggine percepita, e so anche che non voglio contribuire con le mie condivisioni allo snaturarsi dei posti: è per questo che non vi dirò il nome dell’isola in cui ho trovato tutto quello che andavo cercando a Bali.
P.S. Potete trovare qualche racconto più particolareggiato del mio viaggio a Bali nel mio profilo Instagram e, se volete visitarla godendovela sul serio, vi consiglio di partire sempre presto per fare le cose come ho fatto io oppure di partire insieme a qualcuno che la conosce davvero, come lei.
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